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Dalle origini alla dinastia arsacidica
L'impero Sasanide
Dall'invasione araba alla dinastia turcomanna
Dai Safavidi alla dinastia Qajar
La dinastia Pahlavi
La Repubblica Islamica

 

La più antica formazione politica a noi nota sul suolo persiano è l’Impero dei Medi, gente iranica che tra il sec. 8° e il 6° a.C. dominò nella zona settentrionale dell’altopiano. Alla supremazia dei Medi dapprima si affiancò e poi si sostituì quella dei Persiani veri e propri stanziati nella zona meridionale del Paese (Perside). Con la famiglia reale degli Achemenidi, e il suo gran capostipite Ciro, l’Impero persiano assunse una posizione di primo piano nella storia non solo dell’Asia ma di tutto il mondo antico.
Ciro il Vecchio, una delle più grandi figure dell’antichità, spicca su ogni altra per aver temperato il valore e l’intraprendenza in guerra con la sapienza organizzativa e con un raro senso di tolleranza e di umanità. Sotto di lui fu abbattuto il regno dei Medi (550 a.C.) poi il regno lidio e infine quello babilonese. Quando nel 528 Ciro morì, l’Impero si estendeva dal Caucaso all’Oceano Indiano, dal Mediterraneo all’Asia Centrale. Il figlio di Ciro, Cambise, intraprese la conquista dell’Egitto (525) ma morì nel 522 mentre faceva ritorno in Persia. Dai drammatici ed oscuri eventi che seguirono emerse il ramo cadetto degli Achemenidi, asceso al trono con Dario I figlio di Istaspe (522-485), che compì l’opera di Ciro e portò l’Impero persiano all’apogeo della potenza. Il regno di Dario ci è noto oltre che per le fonti greche, per le iscrizioni stesse del Gran Re, soprattutto quelle di Persepoli. L’immenso Impero fu diviso in venti satrapie, collegate da una mirabile rete stradale e governate da una salda ed elastica organizzazione burocratica facente capo al sovrano: il potere centrale rispettava la libertà religiosa e assicurava la prosperità economica dei singoli popoli sottomessi, traendone a un tempo, con i tributi e le prestazioni in natura, i mezzi per una fastosa vita di corte e per un’imponente attività edilizia. L’espansione persiana portò Dario a guerreggiare contro i Greci (insurrezione ionica: 498-94; spedizione punitiva del 490, battaglia di Maratona).
Morto Dario, la sua politica anti-ellenica fu ripresa dal figlio Serse (battaglie di Salamina -480- e di Platea -479-) e la ulteriore storia degli Achemenidi sino alla conquista di Alessandro ci è nota quasi esclusivamente da fonti greche. Gli episodi principali di questa storia sono le contese per il regno tra Artaserse II e Ciro il Giovane, terminate con la disfatta di questo a Cunassa (401) e la pace di Antalcida (386) che ribadiva il dominio persiano sulle colonie greche d’Asia Minore. La riscossa della Grecia, che pose termine al bisecolare duello dell’Europa ellenica contro l’Asia persiana, si compì poi con meravigliosa rapidità con la spedizione di Alessandro e il crollo dell’antico Impero persiano (morte dell’ultimo Achemenide, Dario III, nel 330 a.C.). ma neanche Alessandro Magno potè realizzare il suo gran disegno di fondere in un unico impero universale Elleni ed asiatici, e la morte di lui nel 323 a.C. concluse per la Persia, privata dell’indipendenza e della sovranità, il più antico periodo della sua storia.
Per qualche decennio la Persia gravitò nell’orbita del Regno Seleucidico, ma tali vincoli diretti di sudditanza si allentarono rapidamente, e alla metà del 3° secolo nuove formazioni politiche si profilarono sul suolo iranico: all’estremo est il regno di Battriana, più a occidente il regno degli Arsacidi di Partia il cui fondatore Arsace, assunto il titolo di re nel 250, fissò la sua capitale a Ecatompilo.
Sorgeva così, con centro nella Mesopotamia e nella Media, lo stato feudale e militare dei Parti, per cinque secoli il più vitale e aggressivo avversario prima dei Seleucidi e poi di Roma. Nei primi decenni del 3° secolo d.C. la vecchia compagine arsacide fu attaccata, dal sud, da un movimento interno di rivolta che ebbe il suo focolaio nella Perside e il suo capo in Ardashir, d’una nobile stirpe meridionale che pretendeva di riconnettersi agli antichi Achemenidi.
Il trionfo di Ardashir, che nel 226 d.C. entrava nella capitale partica Ctesifonte, inaugurò l’ultimi periodo di potenza della Persia pre-musulmana.

Il nome deriva da quello di Sasan, avo di Ardashir. L’Impero durò quattro secoli, e in politica estera continuò la tradizione partica, in una cronica guerra contro Roma prima e poi, dal sec. 5°, contro Bisanzio. La lotta sul fronte occidentale continuò con alterne vicende, devastando la Mesopotamia, l’Armenia e la Siria; sotto il secondo Sasanide, Sapore I, lo stesso Imperatore Valeriano cadeva, a Edessa, nel 260, in prigionia. Nel 613-616, alla vigilia della caduta dei Sasanidi, le loro armi vittoriose giungevano fino a Damasco, a Gerusalemme e in Egitto, come già prima (570) erano giunte nello Yemen. A oriente i Sasanidi lottarono per arginare l’infiltrazione e l’offensiva dei Turchi, comparsi nel 6° secolo nell’Asia Anteriore. Si compì sotto i Sasanidi la piena restaurazione della tradizione religiosa zoroastriana, col mazdeismo eretto per la prima volta a religione di stato. La maggiore figura della dinastia Sasanide è Khusraw I Anusharwan (531-579), il contemporaneo e rivale di Giustiniano. Dopo aver con lui conosciuto il più alto grado di potenza politica e di splendore culturale lo stato sasanide cadde nei decenni seguenti in una serie di crisi dinastiche, economiche e sociali, da cui non si sollevò più. E a partire dal 632 si trovò esposto, quasi senza difesa, all’inatteso violento urto degli Arabi, che in pochi anni distrussero l’Impero modificando profondamente la società e la cultura persiana.

L’invasione araba, cominciata quasi subito dopo la morte di Maometto, spazzò via in pochi anni l’Impero Sasanide e inaugurò per la Persia un nuovo periodo della sua storia , modificandone profondamente l’assetto sociale e la vita spirituale. Lo zoroastrismo decadde rapidamente di fronte ad un’intensiva islamizzazione; l’Islam fu abbracciato dalla maggior parte del popolo iranico e lo permeò profondamente ricevendone in cambio influssi e reazioni che si fecero sentire nella ulteriore sua evoluzione religiosa e culturale. Non si può parlare, qui come altrove, di conversione violenta, ma della genuina forza attrattiva di una nuova fede, aiutata da motivi economici e sociali. Nel 651 cadde assassinato l’ultimo sovrano Sasanide, Yezdegerd III. Verso il 650 può dirsi terminata la conquista araba. La Persia propria fu per quasi due secoli una provincia dell’Impero dei califfi. Ma rivalità tribali arabe e fermenti nazionali e sociali iranici al servizio di ambizioni dinastiche fecero esplodere, verso la metà del sec. 8°, dalla provincia di frontiera del Khorasan, quella rivoluzione che abbattè il califfato degli Omayyadi (661-750) e vi sostituì quello degli Abbasidi (750-1258), arabi anch’essi ma appoggiantisi a forze militari e civili in buona parte iraniche. Pochi decenni dopo, del resto, si cominciarono a formare nella Persia di nord-est quelle autonome dinastie periferiche con cui si inizia lo sfaldamento del califfato arabo unitario. L’avvento dei Selgiuchidi, turchi di stirpe, a metà del sec. 11° ricreò un grande stato unitario nelle provincie orientali del califfato: fu questo un periodo di grande floridezza economica e di rigoglio culturale per la Persia islamizzata, essendosi i Selgiuchidi interessati non solo alla conquista ma alla pacifica organizzazione e alla prosperità del Paese. Lo stato selgiuchide cadde verso la metà del sec. 12°. Iniziava poco dopo (nel 1220) la turbinosa conquista dei Mongoli di Genghiz Khan, che causò perdite incalcolabili di vite e beni nelle provincie iraniche. Questi stessi nomadi furono assimilati dalla civiltà islamica e lo stato mongolo dei Timuridi (1369-1349) segnò per la Persia, a compenso delle iniziali rovine, un periodo di rinnovato splendore economico e culturale. Ai Timuridi successe un periodo di anarchia, con frazionamento territoriale della Persia: il Paese fu riunificato ai primi del sec. 16° sotto i Safavidi, il cui regno (1502-1730) inaugurò la storia moderna della nazione persiana.

Sotto i Safavidi, la cui dinastia iniziò con Shah Esma’il (1499-1524) fu adottato, anche in funzione anti-ottomana, come religione nazionale l’Islam sciita L’unità territoriale del Pese fu ricostituita all’incirca negli stessi confini dell’Impero sasanide. A occidente fu contenuta la spinta ottomana, fino a raggiungere, durante il regno di Abbas il Grande (1587-1628), un periodo di floridezza economica e solidità amministrativa. I successori di Abbas non ne mantennero le acquisizioni e nel 1722 la nazione fu travolta da un’invasione afghana. Il regno risorse per opera dell’avventuriero sunnita del Khorasan Nadir Shah (1736-47) che cacciò gli afghani. Ma alla sua scomparsa la Persia ripiombò nel caos e, dopo l’effimera dinastia degli Zand, seguì un nuovo periodo di sanguinose guerre civili, terminate con l'insediamento della dinastia turca dei Qajar (1794-1925). Questa, che si protrasse fino al 1925, si caratterizzò come un regime di oppressione politica, mentre, sul terreno economico, cedette al controllo europeo parti cospicue del territorio nazionale e lo sfruttamento delle più importanti risorse del Paese. Agli inizi dell’età Qajar risale infatti la penetrazione russa e inglese. Si videro però anche i primi accenni di risveglio nazionale grazie all’opera di una èlite di intellettuali, religiosi e laici, che tra la fine del 19° e gli inizi del 20° secolo cercò di ottenere la Costituzione (1905-09) e di mantenere intatti i beni del Paese. Dopo la prima guerra mondiale emerse Reza Pahlavi, militare nazionalista che, con l’aiuto soprattutto britannico, assunse il titolo di scià e fondò una propria dinastia in luogo degli espulsi Qajar (1925).

Nel 1935 lo stato persiano prese ufficialmente il nome di Iran. Accusato di germanofilia, e dopo avere coinvolto il Paese nella seconda guerra mondiale (1941), Reza Shah abdicò in favore del figlio Mohammad Reza e si ritirò di fronte alla duplice occupazione anglo-russa. Cessata questa con la fine della guerra, l’Iran ebbe inizialmente una ripresa costituzionale e di libertà democratiche (soppresse da Mohammad Reza), ma una sorta di unanimità nazionale si costituì sul problema dell’indipendenza economica, culminata nella nazionalizzazione del petrolio e nel conflitto con la Gran Bretagna (1950-51). La vittoria ottenuta dal primo ministro M.H. Mussadeq (1951/53) con l’estromissione degli inglesi apriva nuove possibilità. Una grave crisi politica generata dal contrasto tra lo scià e il primo ministro si concluse nella primavera del 1953 con la caduta di Mussadeq: lo scià Mohammad Reza cominciò ad assumere un ruolo sempre più attivo nell’amministrazione dello stato grazie al cospicuo aiuto finanziario degli stati Uniti, l’Iran fu posto in condizioni di superare le gravi difficoltà finanziarie, sino al momento in cui incominciò a ricevere i redditi derivanti dalle royalties petrolifere. Questo orientamento filo-occidentale non impedì però all’Iran di mantenere rapporti con l’URSS. Sul fronte interno si susseguirono deboli tentativi di democratizzazione, anche se si intensificò il controllo della scià sulla vita politica de Paese. Sul piano della politica economica, i primi anni sessanta furono caratterizzati dalla cosiddetta rivoluzione bianca promossa dallo scià che, presentata come riforma agraria, mirava all’industrializzazione del Paese e alla creazione di un capitale nazionale (in un progetto che vedeva coinvolto principalmente lo scià e la sua famiglia). Quale segno della stabilità del Paese e dei successi della rivoluzione bianca, lo scià il 26 ottobre 1967 cingeva con una fastosa cerimonia la corona imperiale. Rispetto alla politica petrolifera, fu determinante la posizione assunta dall’Iran al fine del raggiungimento, mediante l’OPEC, dell’intesa nei confronti delle compagnie straniere e dei paesi importatori in genere, che rese possibile (dal 1960-62 in poi) anche all’Iran l’esportazione di petrolio in cambio di attrezzature industriali e agricole; nel 1972 l’Iran revocò le concessioni di sfruttamento delle riserve petrolifere detenute dalle società straniere, con cui stabilì nuovi accordi (1973) per la vendita del greggio. Per altri versi, però, i cambiamenti avvenuti nella società iraniana erano del tutto insoddisfacenti: la sperequazione sociale tendeva ad aumentare, escludendo dai profitti non solo gli strati popolari e la classe operaia, costretta a condizioni di vita miserevoli, ma anche i ceti medi, professionisti e commercianti, già privati dell’accesso a qualsiasi forma di potere decisionale. A tutto ciò faceva riscontro una durissima repressione sulla vita culturale e politica del Paese. A partire dal 1977 si verificò una forte crescita del movimento di opposizione al regime, la cui direzione venne rapidamente conquistata dai religiosi sciiti dell’Ayatollah Khomeini.

Nell’autunno 1978, nonostante sanguinose repressioni e l’introduzione della legge marziale, scioperi e manifestazioni portarono alla progressiva paralisi del Paese, tanto che nel gennaio 1979 lo scià si vide costretto a lasciare l’Iran mentre l’esercito si disgregava. L’ayatollah Khomeini, tornato in patria il 1° febbraio, nominò un governo provvisorio e assunse la direzione effettiva del Paese. Il 1° aprile, a seguito di referendum, fu proclamata la Repubblica Islamica dell’Iran e in dicembre un altro referendum approvò una nuova costituzione che prevedeva una guida religiosa del paese; tale carica fu attribuita a vita a Khomeini. Intanto, nel settembre 1980 l’Iraq diede inizio alle ostilità contro l’Iran riaprendo antichi contrasti circa la sovranità su parte dello Shatt el-Arab e sperando in una guerra lampo . L’offensiva venne bensì bloccata e iniziò una dolorosa guerra di posizione conclusasi nel 1998 con un cessate il fuoco relativamente favorevole all’Iraq, accettato da Teheran anche in seguito alle pressioni internazionali. All’interno del Paese, intanto, le elezioni del 1980 videro la vittoria del Partito repubblicano islamico (PRI). Le elezioni legislative del 1984 sancirono il carattere di stato a partito unico ormai assunto di fatto dall’Iran, ma nel 1987 anche il PRI veniva sciolto dall’Ayatollah Khomeini, che dichiarava esauriti i suoi compiti. Dal 1988 pertanto, le elezioni videro la partecipazione di candidati non più legati a vincoli di partito, anche se facenti parte a gruppi e correnti diverse nell'ambito del regime islamico. Le elezioni presidenziali dell’agosto 1985 confermarono capo dello stato Ali Khamenei (eletto per la prima volta nel 1981); nel 1989 questi succedeva a Khomeini, morto in giugno, quale guida religiosa del Paese, e, alla presidenza della Repubblica, veniva eletto A. RafsanJani. Una riforma costituzionale, approvata tramite referendum nello stesso anno, aboliva la carica di primo ministro e rafforzava i poteri presidenziali. I negoziati di pace tra Iran e Iraq, avviati dopo il cessate il fuoco dell’agosto 1989, rimasero di fatto bloccati fino all’agosto 1990, quando la crisi internazionale apertasi con l’occupazione del Kuwait da parte dell’esercito iracheno induceva Baghdad a riconoscere la sovranità iraniana sullo Shatt el-Arab. Ciò consentì la riapertura di relazioni diplomatiche fra i due paesi nel settembre del 1990. A partire dal 1997 la carica di presidente della Repubblica è ricoperta da Mohammad Khatami.